Un matematico alla Quadriennale

Angelandreina Rorro

Quando nel 1954 cominciò a dipingere, Mario Dell’Agata, matematico di geometria pura di professione e poeta per vocazione, già formatosi con suo padre Giuseppe,
letterato, pittore e insegnante, aveva 47 anni.
Dopo solo un anno, nel 1955, una sua opera Ragazza al bar venne selezionata da una delle due “giurie di accettazione” per la Quadriennale d’arte di Roma.
“Questa VII Quadriennale si può dire pienamente rappresentativa dell’arte italiana di oggi in ognuna delle sue tendenze, che qui sono ordinate con la maggiore chiarezza
compatibile con la distribuzione ambientale (..) quanto col numero delle opere che sono molte e vivacemente diverse” dichiarano nell’introduzione al catalogo Antonio Baldini e Fortunato Bellonzi presidente e segretario generale del rinnovato consiglio di amministrazione dell’Ente autonomo “Esposizione nazionale quadriennale d’arte di Roma”.1
Gli stessi sottolineano anche come accanto ad artisti più affermati “non pochi sono i giovani artisti sui quali si appuntano le nostre speranze di domani; e parecchi vivono e lavorano in centri minori assolvendo ad un prezioso compito educativo  nella provincia che è anche oggi, col vigore  dei propri accenti dialettali, capace di conferire un suo carattere ai grandi movimenti della cultura artistica italiana, salvandoli dal rischio di un esperanto livellatore”2
L’affermazione, di carattere generale e metodologico, si attaglia molto bene proprio all’artista, poeta e pittore, di cui stiamo parlando, che pur vivendo e lavorando in quegli anni a Roma era nato in Abruzzo, terra di cui aveva ricercato le suggestioni di genuinità presentite in età infantile e in cui tornerà 15 anni più tardi, continuando ad usarne i linguaggi pittorici e di scrittura.

Tuttavia la cosa davvero interessante e rimarcabile è che la possibilità di entrare nella rosa degli artisti in mostra dipendesse dalle modalità assolutamente democratiche di scelta, soprattutto considerando il fatto che tale sistema fu adottato ancora per l’VIII edizione e poi non più. Oltre agli invitati dalla commissione-consiglio di amministrazione vi erano due giurie di accettazione: una nominata dalla commissione e l’altra eletta dai rappresentanti degli artisti non invitati ma che avevano notificato e inviato le loro opere.  Dopo un esame autonomo, le due giurie procedevano ad una seduta congiunta sui lavori che non avevano ottenuto unanimità di giudizio. Così, nel 1955, di 3797 pitture, 613 sculture e 503 bianconeri pervenuti, ne furono presentati rispettivamente 471, 116 e 85. Tra questi, alla sezione pittura (figurativa), salone 92, numero 7 del catalogo compare Il bar (Ragazza al bar n.d.r)
di Mario Dell’Agata nato a Penne nel 1907 e residente a Roma.
Il dipinto evidenzia già uno stile personale e un notevole senso del colore, nonostante la sua totale assenza di preparazione tecnica nell’olio, elementi che caratterizzano questa sua prima fase incentrata sulla tematica esistenziale degli interni e che gli artisti-commissari delle giurie furono in grado di cogliere e apprezzare.

Tra i lavori di questo periodo particolarmente interessante Grandi magazzini (o La Standa), dove alla scomposizione cubo-futurista si unisce l’arguto sguardo dell’artista su un soggetto di attualità sociale e che ci restituisce un’immagine del tutto simile alla percezione scompaginata e confusa, ma nello stesso tempo affascinata, del luogo da parte degli utenti-consumatori.
Opere che sembrano anticipare la sua poetica più matura: il normale, il quotidiano elevato a ricerca di senso, inserito in una visione complessiva delle cose e dello spazio. “ Nella sua visione laica della vita e del mondo, c’è si rifiuto ad ogni dogma, ad ogni verità rivelata, perché la verità è quel poco che ognuno sa scoprire da solo giorno per giorno, con i mezzi scarsi e l’umiltà del ricercatore convinto, giammai blasfema derisione o massificata contestazione…”6

scrive Gasbarrini nel testo di presentazione al libro catalogo del 1977.
Gli stessi dipinti verranno ripresi con la tecnica del pastello negli anni Ottanta quando il pittore, nello spazio più funzionale del villino di Pineto, darà vita alla serie dei quadri matematici a contenuti filosofico-simbolici. Il tema dello specchio e del doppio, il rapporto tra micro e macrocosmo e tra uomo e natura, il tema della maternità e quello della coppia, vengono trattati con sapienza costruttiva, cromatismo e ironia. In particolare nella serie di opere accomunate dal soggetto della Leda col cigno interpretato con grande fantasia iconografica. 

Tutto viene ripensato e rappresentato con una doppia chiave di lettura: quella che tiene conto e osserva il dato reale, legata alla visione razionale matematico-geometrico-scientifica e quella che lo trasfigura, la visione interiore poetica.
È con queste due chiavi che Mario si fa artifex, pittore, per narrare i poli estremi del suo sentire e della vita, per raccontare e rappresentare con istinto ma anche con consapevolezza le galassie e l’uomo, il bimbo e il fiore. “Stringesi una galassia/mentre un bimbo piange/in un’altra che si espande./Muta la geometria dei cieli/che gli uomini si fanno in un piccolo vuoto di cosmo./Ora, qui, in un punto, una margherita reclina”. 7 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *