Storie di Famiglia

Il 1 ottobre 1934 Mario sale alla stazione Termini sul treno per Rieti, dove andava a prendere servizio, chiamato da Ripa di Meana senior con un incarico nell’amministrazione del Risanamento della Piana reatina. Prende posto nello scompartimento a sedili di legno di fronte a due giovanissime ragazze, che andavano per il primo giorno di scuola ad insegnare nella stessa Rieti, Giovanna Luraschi matematica e Torchiana Lingue o Lettere, non ricordo bene.  Le due ragazze stanno facendo le parole crociate e si chiedono: un fiore a 7 lettere, Mario immediatamente  alzando l’indice verso di loro: anemone! Da quel fiore e giorno, non c’è stato anno che io ricordi nella vita in famiglia senza il dono a primavera di un mazzetto di anemoni a mia madre e se non era lui a comprarlo, incaricava me. Mio padre poi mi confidò un suo presentimento in quel primissimo incontro: vuoi vedé che una di queste me la sposo? E così fu, ma dopo 5 anni di amore negli incontri a Rieti; ricordi evocati nel portone di casa Carocci, dove mia madre era a pensione, tra sacchi di grano addossati alle pareti o tra i boschi della salita al convento dei Cappuccini. Mia madre mi raccontava di aver dato a Mario delle dispense di analisi, dove nella prima pagina aveva sottolineato lettere che costruivano una frase d’amore, ma che invano aveva aspettato una risposta, poiché Mario probabilmente non le aveva neanche aperte! Giovanna, iscritta nella facoltà di Matematica  a soli 16 anni, a 20 anni si era laureata nella stima di Vito Volterra e Tullio Levicivita, era quindi stata chiamata all’Istituto di Calcolo, diretto da Picone, dove le memorie di famiglia dicono  aver risolto un’ardua equazione di terzo grado in 17 pagine e di un suo lavoro si era poi giovato Enrico Fermi per la sua ricerca. A 23 anni, vinto il concorso, era già professore di ruolo. In quei cinque anni di insegnamento  aveva conosciuto come colleghi Indro Montanelli e Gioacchino Gesmundo, docente di filosofia nel Liceo classico Terenzio Varrone; Gesmundo  poi negli anni della guerra a Roma sarà collega e amico intimo di Mario nel Liceo Scientifico Cavour. Nell’archivio di famiglia Mario ha conservato una cartella di documenti dedicata a Gioacchino, tra i quali il progetto, disatteso ma degno di recupero, di dedicare a lui, martire delle Fosse Ardeatine, una scuola. Nel 1969,   nominata io per l’insegnamento di storia dell’art nello stesso Liceo Varrone,  salite per la prima volta le scale che portavano al primo piano, mi trovai di fronte ad un grande bassorilievo rotondo in bronzo con il profilo di Gioacchino e le scritte di dedica. Invece  Mario dopo anni di lavori diversi riesce ad iscriversi alla facoltà di matematica e a laurearsi nel 1938, continuando a lavorare, in soli tre anni di esami ed una brevissima ma ardua tesi in Geometria Superiore,  allievo geniale del grande Federigo Enriques. Mi diceva mio padre che quando Enriques si fermava alla lavagna, solo lui alzava la mano tra gli studenti di più anni di corso. 

 Nel giorno della Madonna del Carmine, 16 luglio 1939, Mario e Giovanna si sposano nella chiesa romana di Santa Maria in Vallicella, in corso Vittorio  non lontana dal palazzo rinascimentale che ospitava l’Istituto di Ragioneria Vincenzo Gioberti, dove Mario avrebbe insegnato matematica e Fisica; mio padre  mi raccontava che il prete che lo confessò per ricevere il sacramento, alla sua dichiarazione di amore primario per la madre e per  la moglie,  gli disse: continui ad essere il bravo ragazzo che è!   Il 17 febbraio 1940 nasce Giuseppe, mio fratello primogenito, castano con gli occhi marroni.  Mia madre mi disse che quando sono nata io  l’11 marzo 1941, castana con occhi celesti, era stato il giorno più felice della sua vita  e  capisco perfettamente l’ispirazione materna per una alleanza  di genere nella discendenza. Sempre ci siamo trovate a scoprire identità perfetta di gusti e di opinioni e addirittura  ad avere gli stessi suggerimenti quando mio padre ci sottoponeva la bozza di una poesia  appena stesa. Mio fratello Massimo , castano con occhi verdi, nasce il 26 giugno del 1942 e l’ultimo fratellino Carletto, tragicamente perduto a tre anni, il giorno dell’onomastico di nostra madre Giovanna, 24 giugno 1947,  per una anestesia con l’etere, era nato nel 1944. Il pianto per la scomparsa di un bambino dolcissimo e bellissimo, biondo con gli occhi azzurri e già rivelato precoce per dei disegni di macchine  che ricordo,  non ha mai abbandonato i miei genitori e me stessa; ho visto lacrimare mio padre   nel ricordo di lui a quasi 90 anni; poco prima che lasciasse  questo mondo; infatti lo chiamava il francobollo di Papà, per la fusione d’amore  nell’abbraccio al suo petto e nostra madre, che ha sempre portato sul petto un ciondolo d’oro con una minima ciocca dei suoi capelli,  ci indicava una stellina riconoscibile nel cielo, come la stellina di Carletto.

Le genialità dimostrate dai miei fratelli nella prima infanzia annunciavano la loro vocazione e vita di accademici virtuosi: Peppino, il quale a tre anni faceva le radici quadrate  e recitava centinaia di versi della Divina Commedia, che si faceva leggere nella grande e preziosa edizione con le illustrazioni del Doré, dalla nostra affezionata bambinaia Amelia,  una  friulana diciassettenne di Palazzolo dello Stella, dopo la Scuola Normale e laurea a Pisa, a  24 anni era Direttore dell’Istituto di Filologia Slava nella stessa università e a tutt’oggi insegna ancora, naturalmente gratis dopo la pensione, come professore emerito.  Massimo – che aveva imparato a leggere sui volumi di zoologia dei fratelli Brehem  e  aveva coinvolto Peppino e me  nel sapere a memoria i nomi di tutti gli uccelli, in un piccolo libro rilegato della avifauna italiana e  aveva colpito docenti di zoologia dell’università romana per la forza espressiva di certi i suoi Mammout disegnati ed un suo  disegno a gessetto di una tigre col suo tigrotto, fatto sulla lavagna di una classe dell’Istituto Magistrale Caetani, dove nostra madre insegnava, era stato conservato per mesi prima della cancellazione – laureato a Roma in biologia con una tesi in genetica, ha poi insegnato nelle università abruzzesi biologia, etologia e zoologia; io stessa nel numero zero di questa nostra rivista ho pubblicato documenti   sul mio amore per Raffaello i cui disegni di Madonne e Bambino  copiavo con passione a 5 e 6 anni. 

 Nel 1949 i nostri genitori, Giovanna al pianoforte 1) e Mario al violino chiamarono noi  tre fratelli per insegnarci una canzone dalla dolcissima melodia: Ricordi?, che solo oggi, grazie alla ricerca del nostro grande amico, nella collaborazione con la rivista Arte Scienza, Antonio Castellani, posso considerare la loro canzone d’amore. Lascio qui spazio al suo testo , con animo veramente grato e commosso, poiché la canzone del celebre allora compositore Sigmund Romberg,  ebreo ungherese emigrato a New York e leit motif nel film Primavera era  del 1937 e   fu  tradotta l’anno seguente in italiano,  non molti mesi prima delle loro nozze.

 1)       Pianoforte comprato dal padre di Giovanna, Carlo Luraschi,  commosso dal fatto che la bambina si era costruito un pianoforte con i tasti di cartone e…suonando faceva le note con la voce, poi soprano alto, avendo ereditato dalla famiglia Luraschi di Appiano Gentile l’orecchio assoluto.  Era un pianoforte verticale, Roeseler con colonnine tortili e candelabri di bronzo dorato.

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